Il «Corriere di Perugia» (1980)

Trascrizione dell’intervento introduttivo alla presentazione, il 20 giugno 1980, a Perugia, del reprint del «Corriere di Perugia», organo del Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale, a cura dell’Istituto per la storia dell’Umbria dal Risorgimento alla Liberazione, introduzione e indici di Fabrizio Bracco, Perugia, Editrice umbra cooperativa, 1980. Il testo è stato poi inserito in W. Binni, La tramontana a Porta Sole cit., edizione 2007; W. Binni, La disperata tensione cit.; W. Binni, Scritti politici 1934-1997 cit.

Il «Corriere di Perugia»

Ho accolto con grande piacere l’invito a partecipare alla presentazione della ristampa del «Corriere di Perugia», soprattutto come un dovere verso la città, verso coloro che hanno partecipato al periodo della Resistenza, viventi e scomparsi. Tra coloro che voglio ricordare (oltre a Montesperelli che è qui presente, oltre a Capitini e Apponi) c’è il direttore Bruno Enei, nome a molti ora sconosciuto, ma in realtà uomo di animo profondo, leale quale difficilmente ho riscontrato nelle vicende della vita e che tanta parte ha avuto, non solo nel giornale di cui diventò direttore, ma anche nell’attività e nella preparazione della Resistenza, in cui comandò una delle brigate combattenti. Devo dire che questa iniziativa, che è concepita nell’ambito di un insieme di lavori, di ricerche, di ristampe e stampe di libri che fanno capo all’Istituto presieduto dalla professoressa Bartoccini, mi è sembrata molto importante, perché ha riportato (grazie anche a un’introduzione molto efficace) alla conoscenza del pubblico perugino, alla sua “memoria storica”, una testimonianza politica di primaria importanza.

Questa ristampa documenta sul periodo del Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale, come viene ben chiarito nell’introduzione di Bracco che scandisce le vicende del giornale nella prospettiva del Comitato di Perugia, entro un percorso cosí breve (luglio ’44-maggio ’45), ma anche estremamente ricco di difficoltà e di condizionamenti da parte dei “liberatori” anglo-americani che si riflettevano particolarmente sulla stampa. Nel «Corriere» ci furono cosí molti spazi bianchi, articoli censurati e messi in evidenza volutamente dalla direzione e dalla redazione ad indicare il sopruso subito, ma non accettato.

Questa ripubblicazione è tanto piú importante perché l’introduzione costituisce già un abbozzo di ricerca da riprendersi in successivi lavori sulla storia di questo periodo e in qualche modo è anche l’aggancio, seppur rapido, verso il passato e verso il futuro. Circa questo “aggancio”, ad integrazione di quanto l’introduzione stessa indica, mi soffermerei sul periodo precedente la Resistenza, sul periodo fascista. In questo periodo si può accennare ad una sia pur limitata propaganda politica-pubblicistica. Non che sia esistita una stampa clandestina precedente al ’44, ma certamente esisteva una circolazione, in qualche modo propagandistica, di libri, e ciò avveniva a Perugia ad opera specialmente del libraio Dante Simonelli, che, approfittando dei suoi viaggi commerciali in Francia, riportava libri antifascisti, magari di esuli italiani, romanzi vietati (ad esempio il libro antimilitarista di Remarque), oppure opuscoli “scottanti”, anche marxisti, come certe raccolte di scritti di Rosa Luxemburg.

Evidentemente c’era un modo per far circolare questi libri non solo tra gli intellettuali, ma anche nei ceti popolari, magari attraverso riassunti in forma dattiloscritta.

Durante la guerra, ai ceti popolari arrivavano poi anche informazioni che stimolavano e incoraggiavano la Resistenza, attraverso certi dattiloscritti, certe traduzioni dai pochi giornali stranieri che ancora, durante la guerra, entravano in Italia, perché scritti in tedesco come i giornali svizzeri, da cui alcuni di noi traducevano vari articoli. E non solo articoli sull’andamento della guerra, ma anche analisi economiche: mi ricordo di averne tradotto uno, proprio su questo argomento, nel quale si prendeva in considerazione la situazione economica dei due blocchi in contesa, dando infine una certa garanzia e assicurazione sulla forza degli alleati anglo-americani e sovietici, partendo dall’analisi della produzione metallurgica.

Questi scritti circolavano, e circolavano non senza rischio soprattutto per chi li riceveva e conservava. Come fu il caso di un altro uomo forse sconosciuto, Marzio Pascolini, un orologiaio, un popolano di indirizzo libertario, che fu sorpreso dalla polizia con un dattiloscritto che gli costò la prigione, ma non fece mai il nome di chi gli aveva fatto pervenire quel foglio, rivelandolo solo quando il regime era ormai scomparso.

Un’altra cosa che voglio ricordare come antecedente del «Corriere» è la presenza a Perugina di figure come quella di Aldo Capitini in quanto collaboratore di idee che sfociarono, fin dal ’37, nel liberalsocialismo e nei gruppi liberalsocialisti. Attivi nel periodo clandestino[1], le cui idee ritornarono varie volte nel «Corriere» in cui specialmente all’inizio si trovarono Capitini, Bruno Enei e io; persone che Bracco definisce come i “liberalsocialisti del PSIUP” (Partito di unità proletaria, secondo la sigla che si era dato nel 1943, quando cioè si era ricostruito).

Sia io che Enei eravamo entrambi in questo partito, mentre Capitini non fece parte di nessuna formazione politica, e non entrò nel Partito d’azione che raccolse poi il grosso dei liberalsocialisti.

Mi preme chiarire che questa parola, coniata soprattutto da Capitini, voleva indicare un “socialismo” che, proponendosi obbiettivi radicali da un punto di vista sociale (socializzazione dei mezzi di produzione, messa in discussione della proprietà privata nel momento in cui essa assumeva l’aspetto di sfruttamento dell’uomo sull’uomo), permettesse una circolazione di libertà, in qualche modo una nuova “libertà”. Il liberalsocialismo suscitava il problema di come in una società socialista si potessero far rivivere la libertà e la democrazia, ma non nei termini “socialdemocratici” del “socialismo della libertà”, che è cosa assai diversa. Le caratteristiche della versione capitiniana vanno cosí ben ricordate, sia come caratteristiche di un filone nazionale, sia come caratteristiche di un filone profondamente perugino: posizioni che hanno arricchito cosí anche tutto il pensiero della sinistra italiana. È chiaro poi che la parola liberalsocialista venne assumendo un significato diverso, un indirizzo di “terza forza”, differenziandosi fortemente dai partiti di carattere proletario puntando sostanzialmente sul ceto medio, con indicazioni che portavano molto lontano da quella che era stata la direzione di Capitini e nostra.

Per quanto riguarda l’andamento del giornale, a mio avviso, la scansione che traccia Bracco è molto esatta, anche se posso portare qualche precisazione di carattere testimoniale-personale. Voglio ricordare che nella storia del «Corriere di Perugia» c’è un momento in cui Capitini tenta un’operazione di stampa, alla quale anch’io sono legato di un «Bollettino di informazione»che non trovò il favore del C.P.N.L. e che effettivamente ebbe scarsa diffusione in concomitanza con l’arrivo dei giornali nazionali e che in qualche modo fu rimproverato a Capitini non solo per la spesa che comportava, ma anche perché diventava un’estensione palese di quella certa presa di potere da parte di Capitini stesso e dei socialisti di origine liberalsocialista.

Un altro punto che penso andrebbe maggiormente sottolineato è quello relativo ai momenti di dissenso che videro tra i contrasti piú forti quello tra i comunisti e Capitini e che portò alle dimissioni di Capitini stesso da redattore dal «Corriere». Ma ce ne furono anche di piú aspri determinati dalla compresenza di forze democristiane liberali e demo-laburiste, e forze della sinistra, forze proletarie. C’è anche un momento in cui prende corpo una piccola polemica suscitata da un articolo di Apponi, la relativa risposta di Angelucci e una precisazione di Cotani. Cotani, che era il segretario del Partito socialista di Perugia, era strettamente legato al gruppo dei giovani “allevati” da Capitini (come era il caso di Enei, di me e di altri). Questa sua precisazione sul «Corriere di Perugia» appare come una presa di posizione di tutto il Partito socialista perugino, guidato prevalentemente dalla tendenza che aveva già portato il gruppo dirigente socialista perugino ad aderire alla corrente di “Iniziativa Socialista”. Corrente che voleva, almeno nelle intenzioni dei perugini (a parte gli sbocchi che essa ebbe successivamente e ai quali i perugini non aderirono), chiaramente porsi come promotrice di un partito di sinistra proletario e combattivo, ma tale da poter stabilire con il Partito comunista dei rapporti che, pur non essendo di lotta, ribadissero le diversità e si esplicassero nella “concorrenza” nell’ambito della sinistra, per un suo piú complesso sviluppo. Questa precisazione tende a sottolineare un momento che portava Cotani e i giovani socialisti a lui vicini a distanziarsi sia dai comunisti che dai rappresentanti del P.d’A. Differenziazione fatta in termini molto precisi tra i partiti di sinistra, ma anche estremamente aperti, cordiali, amichevoli, protesi in un certo modo al bene della sinistra, anche se inequivoci sulle intenzioni di questo gruppo e di questo partito. Basti ricordare la polemica nei confronti dei comunisti e della loro presenza nel governo luogotenenziale di cui essi fecero parte e in cui non entrò il Partito Socialista che non volle accettare l’ipoteca luogotenenziale e monarchica.

Nonostante poi la convinzione di Apponi che il Partito Socialista stesse abbandonando la sua natura di classe, devo ribadire che questo, per quanto riguarda la federazione perugina, non era affatto vero: poteva essere un marxismo piú luxemburghiano che leninista, ma sempre marxista, basato sull’abolizione della società divisa in classi e sulla socializzazione dei mezzi di produzione, che era poi la sostanziale differenza che intercorreva col Partito d’Azione.

Altra osservazione da fare all’introduzione e relativa alla sua parte conclusiva, alla parte in cui si prende in esame il momento finale del «Corriere di Perugia» e la caduta del C.P.L.N., che determinò un certo sommovimento della sinistra. Bracco dice: «Le sinistre sembravano subire questa trasformazione piú che essere in grado di contrapporvisi. La sinistra azionista e liberalsocialista credeva nella funzione dei C.L.N. e li riteneva i nuclei del nuovo Stato democratico fondato sul decentramento e la partecipazione, ma questo suo progetto non ebbe forti gambe su cui camminare, e forse non poteva averle considerando la base sociale e culturale del paese. Il Partito d’azione si trovò senza consenso, con uno scarso seguito elettorale avendo cercato di farsi punto di riferimento di strati popolari e di un ceto medio che in Umbria tendeva a trovare un proprio spazio nei partiti del movimento operaio o a rifluire verso la D.C. I liberalsocialisti entrati nel P.S.I.U.P. lentamente vennero a trovarsi ai margini del partito». Questo punto è un po’ raccorciato: ad un lettore meno provveduto può sembrare che venga riferito ai tempi piú vicini alla storia del giornale; viceversa è da vedere in una prospettiva piú lontana, e deve essere fatto un discorso quindi piú articolato.

Il Partito d’azione ebbe una verifica negativa solo nelle elezioni amministrative nazionali del ’46, mentre, per quanto riguarda i “liberalsocialisti” del P.S.I.U.P., essi erano poi in larga maggioranza a Perugia (in uno dei congressi preparatori al congresso nazionale, la Federazione provinciale di Perugina diede 7000 voti a “Iniziativa Socialista”, mentre solo 1000 voti ebbe l’altra corrente “fusionista”, assolutamente minoritaria quella riformista), sicché l’emarginazione degli ex-liberalsocialisti ebbe luogo sono nel ’47 con la scissione socialista che essi non volevano.

Sta di fatto che per un lungo periodo dopo la fine del «Corriere» questo gruppo dirigente diventò egemone nel Partito socialista e, rappresentandone la forza trainante, lo portò alla vittoria elettorale del ’46, sicché il P.S.I.U.P. risultò non solo primo partito nelle amministrative di Perugia, ma anche ben forte nelle elezioni per la Costituente, in cui venimmo eletti Oro Nobili e io, rispettivamente per Terni e per Perugia.

Da tutto ciò che è stato detto risulta l’interesse di questo documento e di questa introduzione e quindi l’iniziativa va lodata, appoggiata e diffusa anche al di fuori di Perugia, perché effettivamente il «Corriere di Perugia» ha una caratterizzazione e una storia interessante, forse piú di altri organi consimili di altre province. In conclusione credo di dover rivolgere un ulteriore incoraggiamento alla Regione e all’Istituto storico a proseguire in questo tipo di ricerca. Alla Regione in particolare va l’incoraggiamento per il proseguimento di un’attività che possa ancora di piú valorizzare anche quelle memorie del passato che non sono solo quelle degli anni importanti della vera e propria Resistenza, ma sono anche quelle dell’epoca risorgimentale e di tutta una tradizione che mette in primo piano il carattere profondamente protestatorio della città di Perugia, le cui pagine piú gloriose non sono solo la creazione del “comune maius”, ma la “Guerra del Sale” (la guerra in cui Perugia difese la sua indipendenza contro Paolo III), il 20 giugno del ’59, la lunga attività antifascista già prima della guerra e della Resistenza.

La tradizione perugina è ricca di questi fermenti popolari e protestatari che devono essere tenuti in vita anche per il futuro, per un futuro costruito sí con efficienza e saggezza amministrativa, ma anche con un certo tipo di fedeltà e di coerenza alla tradizione profonda della città e della regione.


1 Per le origini anzitutto perugine di quella prospettiva e di quell’attività si veda quanto ne scrive Capitini in Attraverso due terzi di secolo (in «La Cultura», 10, 1968) dove ricorda che il movimento prese corpo «dopo l’accordo che feci con Walter Binni prima, e poi con Guido Calogero». Si vedano anche i miei Ricordi antifascisti in Antifascismo e resistenza nella provincia di Perugia, Perugia 1978.